Cos’è il retail analytics

I dati necessari per potenziare il retail fisico
Essere presenti sul mercato con un’attività fisica, oggi, è di certo una scelta in controtendenza.
Per quanto i fautori del digitale e del “virtual shopping” se ne risentano, l’esperienza analogica non scomparirà. Girare negozi tangibili, poter guardare e toccare i prodotti, così come giudicare sul momento la qualità di un materiale. Tutte attività che non potranno, almeno nel nostro secolo, essere replicate con facilità.
Il retail fisico, però, nonostante questi palesi vantaggi, deve vivere l’era della scoperta (tardiva) dell’e-commerce. Se fino a qualche anno fa comprare online era appannaggio esclusivo della clientela più giovane e difficile, oggi persino i marchi più grandi e stabiliti puntano al digital selling.
Un trend che non è di certo nato dal nulla, ma che rischia sempre più di saturarsi e diventare la nuova “net bubble”.
I dati sull’imprenditoria under 35, non a caso, segnano che solo il 3% dei nuovi imprenditori compie questa transizione digitale. Piuttosto ci si affida allo store fisico e alla pubblicità sulle dovute piattaforme.
La pubblicità e le Retail Analytics
Pubblicità non significa però avere il pieno controllo dell’esperienza del cliente. Una quantità sorprendente di negozi fisici riporta una Conversion Rate piuttosto bassa: le persone entrano, ma non comprano. Perché?
L’unico modo per capire davvero questo fenomeno, è controllare in tempo reale il comportamento del cliente e monitorarne l’esperienza attraverso i data analytics.
Che si parli di franchising o piccole realtà, esiste sempre una certa gerarchia nello staff. Proprio la cattiva gestione di commessi e personale a disposizione dei clienti può giocare in maniera essenziale a sfavore della vendita.
Prendiamo ad esempio il classico negozio, mediamente grande, dove è presente soltanto la cassiera e un commesso. Se quel retail aumenta il proprio flusso di clientela, una sola persona che si occupa dei clienti non basterà. Si costringerà chi è alla cassa ad allontanarsi per aiutare i colleghi. Questo, però, al costo di far aspettare chi deve pagare ed aggiungendo stress innecessario su uno dei membri dello staff.
Proprio grazie alla retail intelligence e le retail analytics, è possibile calcolare con precisione i giorni più intensi della settimana. Rende inoltre fattibile valutare con una media statistica i momenti più “caldi” della giornata e, se costruita a dovere, può essere persino registrato quale reparto è più frequentato e quale altro invece rende meno. Se tutto questo sembra una réclame pubblicitaria e utopica, è bene capire che la business intelligence è un ramo del marketing sempre più studiato ed utilizzato.

Se un tempo era normale avere, nel migliore dei casi, un people counter all’entrata per valutare l’interesse in uno store, oggi i servizi riguardanti la raccolta dati si allargano. Si può fornire una panoramica dettagliata dei punti di forza e debolezza di un negozio, oltre all’aiutare nel profiling. Un campo ampio e dall’alto potenziale, usabile persino per delle analisi predittive, per anticipare i trend e fluttuazioni di affluenza.
L’esempio più classico che abbiamo dell’analisi dei dati sono i cosiddetti “Temporary Store”. Piccoli locali, magari interni ad un centro commerciale, i quali segnano cliente per cliente l’affluenza. A fine del periodo di prova, si valuta in base ai dati raccolti se trasformare il Temporary in Definitive.
I dati aziendali da soli non bastano. Valutare gli scontrini e le giacenze non basta più per offrire un’esperienza al cliente davvero unica. Serve studiare cosa va e non va nel proprio negozio, un obiettivo raggiungibile soltanto con l’aiuto di una piattaforma in cloud di IA, con cui costruire le Retail Analytics, un aiuto tecnologico per problemi più reali che mai.

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